The Gifted Hands – Il dono, film del 2009, diretto da Thomas Carter, racconta la storia del neurochirurgo pediatrico americano, Ben Carson, interpretato da Cuba Gooding jr. La storia di un uomo che non aveva le “carte in regola” per avere successo, anzi: per come era cominciata la sua vita, per la sua storia familiare e per le sue condizioni economiche potrebbe tranquillamente essere definito uno “sfortunato”.
Ma a un certo momento la sua vita cambia.
Qual è l’elemento che ha fatto la differenza in una storia abbastanza sfortunata fino a trasformarla in una storia di successo?
Quali sono stati i fattori determinanti comuni ad altre storie di successo?
Il film comincia con un’assunzione di rischio da parte del Dr. Carson: un suo superiore gli presenta un caso difficile, due gemelli sono nati con le teste attaccate e bisogna separarli:
“Nessuno lo ha mai fatto. In situazioni come queste uno dei due muore sempre.”
E subito dopo, alla richiesta di una risposta in merito al caso risponde:
“Li opererò…. Sto cercando il modo”
Non sa ancora come, ma li opererà. Negozia sui tempi per avere il tempo di cercare e trovare una soluzione. E si assume il RISCHIO. Quale impresa importante non prevede un’assunzione di rischio?
Il racconto nel nostro montaggio comincia nel periodo adolescenziale di Ben, e segue la sua crescita come uomo e come medico. Andando indietro nel tempo, vediamo il dr. Carson bambino, in una scena in cui emergono due fattori importanti: l’immaginazione e la sponsorship che lo accompagneranno per tutta la vita. Il ragazzo si ritiene limitato, incapace persino di usare l’immaginazione, infatti dice alla madre:
“Mamma il mio cervello è stupido”
E la madre, manifestando fin da qui il suo ruolo anche di “sponsor”, “prima alleata/tifosa” del ragazzo, risponde:
“Tu hai tutto qui dentro (toccandolo in fronte). Devi solo vedere al di là di quello che riesci a vedere”
Nella scena successiva, durante il sermone, finalmente riesce a immaginare a modo suo la scena corrispondente alla storia raccontata dal Pastore; non solo riesce a immaginare, ma a trarne anche ispirazione… Ben torna a casa e racconta entusiasta ciò che è riuscito a vedere e conclude dicendo:
“L’ho visto nel mio cervello”… ”Ma era reale, era assolutamente reale”
E subito dopo comunica con decisione quello che vuole fare da grande:
”Mamma voglio fare il medico.”
Del resto, gli studi hanno dimostrato che il cervello è capace di provare le stesse sensazioni, di imparare, sia quando vive un’esperienza, quando la osserva e anche quando la immagina.
Un altro ingrediente fondamentale tra i fattori di successo si presenta già nell’adolescenza: la curiosità che dà la motivazione per imparare cose nuove, per farsi domande e trovare nuove risposte, per esplorare. Nella scena i due fratelli stanno guardando un quiz televisivo, dove le persone rispondono a domande su diversi argomenti e di cui sono appassionati entrambe. Uno chiede all’altro:
“Come fanno a sapere tante cose”?
Nella scena successiva si vede Ben che mentre cammina raccoglie un sasso particolare in biblioteca e chiede:
“Mi scusi, avete dei libri sui sassi?”
Chi è curioso cerca di capire, conoscere, trovare soluzioni alternative. Solo chi è stato curioso, nella storia, ha inventato, scoperto cose nuove o modi nuovi per fare cose vecchie.
Un altro fattore che gioca un ruolo di base e che risulta essere frequente nelle storie di successo è la rabbia che torna in vari momenti della vita del protagonista, causata da vari episodi di bullismo o razzismo subiti a scuola, così come da adulto, da specializzando. Una rabbia che fino a un certo momento è fuori controllo ma poi diventa buona leva per il cambiamento, per costruirsi una vita migliore.
Un altro elemento riconosciuto come un ingrediente fondamentale per avere successo è l’unicità. Seth Godin, guru del marketing, ha scrittone “La Mucca Viola”: “Se non ti distingui ti estingui.” Nel colloquio per l’ammissione all’Internato in neurochirurgia alla John Hopkins University, il Preside della scuola gli chiede:
“Perché dovremmo prendere lei?”
Alla risposta “Perché ho ottimi voti e eccellenti presentazioni” il Preside risponde:
“Come tutti i nostri candidati.”
Ben ritenta: “Vede il John Hopkins è la mia prima scelta. Beh, la mia unica scelta”.
E il Preside gli rigira la palla:
“è sicuro di sé. Sì, è una qualità in un neurochirurgo ma mi spieghi una cosa: perché ha deciso di specializzarsi in questa disciplina?”
E qui sì che Ben Carson esprime la sua unicità, la sua visione e ciò in cui crede profondamente:
“Il cervello è un miracolo. Ci crede nei miracoli? Non molti medici ci credono. Non c’è molta fede tra i medici; studiamo cartelle cliniche, sezioniamo cadaveri. È tutto molto tangibile, concreto. Ma il fatto è che c’è una marea di cose che non riusciamo a spiegarci. Credo che tutti siamo capaci di compiere dei miracoli… quassù… che tutti noi possediamo doni e capacità straordinarie. Guardi Hendel! Come ha potuto compiere un’opera come Il messia in sole tre settimane? Questo (indicando il cervello) è il canale. La fonte, l’ispirazione per incredibili risultati. ..”
L’espressione di quell’unicità che ha permesso nel 1976 al Dr. Ben Carson di entrare alla Scuola di Specializzazione di Neurochirurgia e che gli ha consentito di compiere veramente miracoli e di entrare nella storia della medicina.
Un altro ingrediente, non solo a parer mio, è il dubbio. Avere dubbi, porsi dei dubbi ti consente di cercare altre risposte rispetto a quelle che già hai e quindi a poter espandere la quantità e la tipologia di situazioni e problematiche che puoi affrontare e risolvere. In un’altra scena il dr. Carson, di fronte a questo “enigma” da risolvere per riuscire a fare l’intervento ha paura di non farcela, attraversa quel momento “buio”poiché ancora non ha trovato il modo giusto, la soluzione giusta:
-“Sei il miglior chirurgo pediatrico del mondo.”
– “Tu lo credi!”
– “Se non trovi tu la soluzione non la trova nessuno”
Cartesio scrisse che il dubbio è l’inizio della conoscenza. Ed è proprio così che succede al dr. Ben Carson: il passaggio dal dubbio che lo porta a immaginare, come gli aveva insegnato sua madre da piccolo e per tutta la vita, a vedere al di là di quello che riusciva a vedere, fino all’intuizione giusta, alla soluzione.
Poiché insegno Comunicazione Medico-Paziente ai medici e a Professionisti della Salute in genere, desidero sottolineare un altro aspetto delle competenze messe in campo dal dr. Carson: non soltanto tecniche, scientifiche, o di coordinazione occhio-mano, come lui stesso l’ha definita. Sto parlando delle sue capacità relazionali e di comunicazione, con gli altri medici, con le infermiere, con i pazienti e con i loro genitori.
Nella scena in cui spiega a una coppia di genitori l’intervento che ha pensato di fare, contravvenendo ai pareri e alle diagnosi fatte da altri medici fino a quel momento, usa parole semplici, metafore, similitudini per farsi capire. Parla sinceramente, senza nascondere i rischi.
-“Un dottore l’ha definita un’epilettica mentalmente ritardata”
– “Beh sono qui per dirle che non lo è.”
Il dr. Carson ha studiato il caso guardandolo da altri punti di vista per verificare la possibilità di una diagnosi e, quindi, di una soluzione diverse.
–“Può aiutarla?”
– “Posso provarci”
“Il lato sinistro del cervello di Cinzia si comporta come un bambino problematico ai giardinetti che picchia il suo gemello. Si può fermare quel bambino e i giardinetti ritornano pacifici.
– “E come ci si riesce?”
– “C’è un’operazione: l’emisferectomia. Consiste nell’asportare la parte del cervello soggetta agli attacchi.”
– “Come farà a vivere o a sopravvivere con mezzo cervello?”
– “Non è terribile come sembra. Non sappiamo il motivo. Ma il cervello di un bambino ha incredibili capacità di recupero. Come se le cellule non avessero ancora deciso cosa diventeranno quando cresceranno. Assumono le funzioni delle cellule cerebrali malati. E alla fine ripristinano le funzioni neurologiche.”
-“C’è una possibilità di successo?”
–“Sì, dico di sì. Ma è un gioco d’azzardo, inutile negarlo. Se Cinzia sopravviverà potrebbe rimanere col lato destro paralizzato. Il lato sinistro del cervello controlla l’area del linguaggio. Potrebbe perdere la capacità di parlare”
“Ha già eseguito questo tipo di operazioni?”
“No, sarebbe la prima”
In tutto questo dialogo il dr. Carson trasmette speranza pur dicendo esattamente come stanno le cose e pur consapevole che si tratti di “un gioco d’azzardo”. Credo onestamente che vedere e ascoltare la scena su tutti e tre i livelli di comunicazione, verbale, non verbale e paraverbale, sia il modo migliore per comprendere e apprezzare questo esempio di comunicazione e relazione medico-paziente.
Ingredienti veri di un caso di successo vero nella storia della medicina: nel 1985 il dr. Ben Carson effettuò il primo intervento al mondo di emisferectomia e nel 1987 la prima separazione di gemelli siamesi.
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fantastico
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