Il tema dello scambio di identità, ed il tentativo di comprendere i rapporti tra uomini e donne, è stato oggetto di grande attenzione da parte del cinema americano (da Boygirl… questioni di sesso[1] a What Women want[2], da Hitch – Lui sì che le capisce le donne[3] a Nei panni di una bionda[4]), ma il film opera-prima di Simone Godano rappresenta, all’interno del panorama del cinema italiano, il tentativo in forma di commedia di “facilitare la comprensione” tra uomini e donne, soprattutto in ambito coniugale. Andrea (Pierfrancesco Favino) e Sofia (Kasia Smutniak) sono una coppia in piena crisi; lui neurologo, lei un’aspirante presentatrice di programmi televisivi. Sono sposati da parecchi anni, hanno due figli piccoli, e – praticamente – non ne possono più l’uno dell’altra.
Moglie e marito è un film “simbolico” sull’empatia
Questa è la situazione e nella prima scena del film (che riprenderemo più avanti) si comprende subito il tema legato alla vicenda. Infatti, in questa, ritroviamo la coppia di coniugi di fronte alla terapista che, nel tentativo di farli riavvicinare l’uno all’altra, spiega loro il concetto di empatia e le sue origini (dal greco empateia, parola composta da “en-“, “dentro” e “pathos”, sofferenza).
Pertanto, un primo elemento che emerge dal film è che abbia un’alta valenza “simbolica” rispetto al tema dell’empatia; infatti, oltre ad avere diverse scene che possono essere utilizzate in formazione per presentare il significato e le dinamiche sull’empatia, è il film nel suo complesso che può essere visto come un efficace “caso di studio” su questo argomento.
Ma, in concreto, che cosa è l’empatia ed in che modo si manifesta nel film Moglie e marito? Per rispondere alla prima domanda, faccio riferimento ad un video, diventato ormai virale, della ricercatrice americana Brené Brown[5], secondo cui l’empatia significa “sentire emozioni con altre persone”; “è uno spazio sacro” che richiede che noi riconosciamo ciò che l’altro prova, sente, pensa e come si comporta. Questo permette di creare una connessione “con qualcosa dentro di noi e questo comporta la capacità di guardarsi dentro”[6].
In pratica, l’empatia, attraverso la gestione efficace e costruttiva delle differenze di prospettiva, permette di costruire un ponte tra le persone che facilita la comprensione reciproca, a livello di pensiero, emozioni e comportamenti.
Un’immagine sulla differenza di prospettiva
Per rispondere alla seconda domanda (ossia, in che modo l’empatia si manifesta nel film), parto invece dalla prima immagine di Moglie e marito, che ritrae un quadro che è un adattamento del disegno del caricaturista W.H. Hill, dal titolo “Mia moglie e mia suocera”[7], pubblicato nel 1915.
Il quadro è usato dalla terapista di coppia dove sono andati Sofia ed Andrea per far capire loro che i problemi tra i due derivano dal non essere più capaci di vedere l’immagine bella che l’una/o aveva dell’altro/a.
Questa immagine non può non “stuzzicare” la mia attenzione perché, negli anni, è diventata un “cult” dei miei corsi sulla comunicazione e le relazioni interpersonali così come – ne sono certo – lo è anche per tanti colleghi formatori, coach counselor, ecc., proprio perché così efficace nel rappresentare la differenza di prospettiva.
Infatti, in aula, capita che “alcuni riconoscono immediatamente una signora anziana vista di profilo (il naso non proprio perfetto dal punto di vista estetico, l’occhio pronunciato, le labbra sottili, il meno sporgente, ecc.), mentre altri, guardando quegli stessi particolari, affermano invece di vedere una giovane ragazza messa di tre quarti (il naso della signora anziana diventa il profilo della giovane, l’occhio della signora diventa l’orecchio della ragazza, le labbra sottili sono nient’altro che un nastrino posto sul collo della ragazza e il mento della signora è la parte finale del collo). Il punto è che spesso chi vede la giovane non riconosce immediatamente anche l’altra figura e viceversa e in molti casi ciò avviene solo dopo aver chiarito i dettagli dell’una o dell’altra figura”[8].
Ciò accade perché ognuno di noi fissa nella propria mente un’immagine sulla base di particolari che permettono poi di risalire al significato del tutto. La figura, nella sua accezione originale, e ripresa anche da Stephen Covey nel suo best-seller Le sette regole per il successo[9], dimostra che due persone possono vedere la stessa cosa (l’immagine), non essere d’accordo su cosa vedono (la giovane o la signora), eppure avere entrambe ragione.
Ma come, direte voi? Vediamo la stessa cosa, non siamo d’accordo su cosa vediamo, eppure abbiamo tutti ragione? Sì, perché, ed è questa la logica sottesa al discorso della terapista, non esiste una realtà che può essere unicamente interpretata, ma esiste una realtà “esterna” a noi, rispetto alla quale tutti noi diamo risposte “interne” che possono essere assolutamente diverse. Pertanto, ciò che conta non è la realtà in quanto tale, ma il “paradigma”, ossia la “lente” attraverso cui la percepiamo, comprendiamo ed interpretiamo.
L’empatia come “chiave” della comprensione reciproca tra Sofia ed Andrea
Ed è proprio su questo elemento che, all’inizio della vicenda raccontata dal film, cerca di lavorare la terapista che sottolinea che la qualità della relazione si basa sulla capacità di immedesimarsi nell’altro. Ma Sofia ed Andrea, “persi” nei meandri delle loro posizioni, in un misto di rancore, incomprensione e soprattutto, mancato ascolto reciproco, iniziano a litigare anche nello studio della terapista dicendo, lui, che non fanno più l’amore e, lei, che a 45 anni non ha ancora capito cosa vuole fare da grande, se il medico o lo scienziato pazzo.
L’inizio della storia è quindi molto chiara… i due sembrano “alla frutta”, ossia alla fine dell’ennesima storia di “urbana” e poco pacifica convivenza, in una “storia” già vista e rivista, fuori dal cinema su tanti schermi domestici.
E invece… accade che il medico-scienziato pazzo, in compagnia del suo migliore amico e collega (interpretato dal bravissimo Valerio Aprea), “inventano” un macchinario che consente a coloro che hanno perso la capacità di comunicare verbalmente di poter comunicare attraverso le onde cerebrali. Al termine dell’ennesimo litigio (stavolta tra le mura domestiche), nel corso del quale Sofia dice ad Andrea che forse è arrivato il momento di pensare al divorzio, il marito chiede alla moglie di fargli, nonostante tutto, un piccolo-grande favore: collegare il macchinario ai cervelli di entrambi, sperando di riuscire a dimostrare che la macchina (che è ancora un prototipo) in realtà funziona, perché da questo dipende il futuro professionale di Andrea. La moglie, sia pure a malincuore, accetta…
Tuttavia, durante l’esperimento, qualcosa va male (oppure, chissà, rispetto alla situazione, in realtà va fin troppo bene) e, in seguito ad un cortocircuito, i due si ritrovano l’una nel corpo dell’altro. Sofia nel corpo di Andrea e viceversa.
E da subito, troviamo un Andrea molto più femminile di quanto non fosse la moglie prima dell’incidente ed una Sofia alle prese con una mascolinità che il suo corpo di donna non riesce a trattenere.
Scambiamoci i panni, cambiamoci la vita.
Da subito i due cercano di trovare il modo per tornare loro stessi e nei loro panni. Ma intanto, sono “costretti” a vivere ognuno dentro il corpo e la vita dell’altro e, anche se controvoglia, sono catapultati negli impegni del coniuge.
Quindi, lui (o meglio Sofia nei panni di Andrea), entra in sala operatoria, finge un infortunio alla mano per non intervenire in alcun modo e sviene perché non sopporta la vita del sangue. Lei (o meglio Andrea nel corpo di Sofia), invece, deve partecipare alla prima puntata di una trasmissione televisiva per parlare, guarda un po’, di donne, ma da subito mostra grandi difficoltà con la sua “femminilità”: non riesce a stare in gonna e non riesce ad indossare le calze; fa fatica con il tacco-12 a rimanere in piedi (Sofia rimprovera il marito dicendogli, “dai, è un paio di tacchi, non è che devi risolvere la pace nel mondo”) e ad assumere una postura che sia vagamente accettabile[10], tanto che cammina che nemmeno fosse King Kong ad una sfilata di moda; durante le diretta televisiva si mette seduto e, non riuscendo ad accavallare le gambe, resta con le gambe aperte mostrando gli slip; infine si dimostra totalmente incapace di gestire l’intervista con l’ospite. Insomma, come primo giorno nei panni di un’altra persona, tutto sommato è andata bene, no?
Ma la situazione, lentamente migliora e Sofia ed Andrea, passando attraverso disavventure che hanno talvolta effetti dirompenti (molto carina è la scena in cui i due fanno l’amore “a ruoli invertiti” e Andrea nei panni di Sofia dice ansimando, “voglio rimanere donna!”) ed in alcuni momenti anche esilaranti per lo spettatore, iniziano a ri-conoscersi e ad apprezzarsi reciprocamente nei loro nuovi panni. E poco a poco, dai due “perfetti sconosciuti” (tanto per citare un precedente film della Smutniak) quali erano prima dell’incidente, riscoprono la stima e l’affetto reciproco e ritrovano ciò che li aveva fatti diventare una “coppia”.
Due persone che si trovano “costrette” a vivere la vita dell’altro e, attraverso questo “vincolo” riescono finalmente a conoscere (e comprendere) chi hanno davanti[11].
Questo è quello che arriva alla mente, al cuore ed alla pancia dello spettatore e ciò accade anche per la bravura dei protagonisti. Pierfrancesco Favino che usa tutte le sue capacità di recitazione per diventare la sua parte femminile, andando, forse, anche oltre la stessa femminilità della moglie (infatti, sembra ispirarsi ad un’idea più ampia di femminilità che non a quella specifica espressa dalla Smutniak), mentre lei rappresenta per me la grande sorpresa del film, soprattutto perché “modella” secondo i migliori canoni della Programmazione Neuro-Linguistica la sua versione di Andrea cogliendo la sua “essenza” di persona, prima ancora che di uomo, riprendendone i gesti (splendido ad es. quello attraverso cui soffia continuamente sul “ciuffo-ribelle” per spostare i capelli in disordine dagli occhi), ma senza alcuna esagerazione caricaturale.
Conclusioni
Ma, arrivati a questo punto, chi non ha visto ancora il film forse si chiederà che fine abbiano fatto i due protagonisti, ossia se i nostri eroi sono riusciti a tornare l’uno nei panni dell’altra o sono rimasti i nuovi “sé stessi” per rappresentare l’icona vivente delle “due metà della mela” finalmente riunite.
La risposta, ovviamente, la scopriremo solo vedendo il film ed apprezzandone ogni singolo frammento, tuttavia con la consapevolezza che, comunque vada, Sofia ed Andrea non saranno più soltanto una donna ed un uomo, ma, finalmente, due persone che avranno approfondito “l’altra metà della mela” e daranno vita ad un rapporto che non sarà più lo stesso perché ricco, finalmente, di due elementi che prendono il meglio dalle caratteristiche, opposte ma interdipendenti, dello yin e dello yang[12].
Due estremi, all’interno dei quali trovare un difficile equilibrio di coppia, in una ricerca costante di senso, fatto di continue salite e discese; una sorta di “montagne russe”, come solo i rapporti tra donne e uomini, a volte, sanno essere, come ci ricorda anche la bella canzone che è il tema portante della colonna sonora del film, Rollercoaster dei Bleachers. Montagne russe, che tuttavia potremmo pensare di rendere un po’ meno “spericolate” se solo ricordassimo a noi stessi di aprire le porte dell’ascolto “senza pregiudizi”, quando ci confrontiamo, nei rapporti sentimentali come in quelli personali e professionali e se diventassimo, nella vita di tutti i giorni, tutti gli Andrea e tutte le Sofie del mondo, dei “portatori-sani” di ascolto attivo e di empatia. Sono sicuro che ne beneficerebbero tutte le nostre relazioni.
[1] (It’s a boy girl thing), 2006, regia di Nick Hurran, con Samaire Armstrong e Kevin Armostrong
[2] 2001, regia di Nancy Meyers, con Mel Gibson e Laura Hunt.
[3] (Hitch), 2005, regia di Andy Tennant, con Will Smith ed Eva Mendes.
[4] (Switch), 1991, regia di Blake Edwards, con Ellen Barkin e Jimmy Smiths.
[5] Il potere dell’empatia. URL: https://www.youtube.com/watch?v=3oaobKn_MkE. Data ultima consultazione: 29 aprile 2017.
[6] S.Cera, Ciak… Motore… Form_Aaaazione! Vademecum filmico per il formatore non convenzionale, Palinsesto Ed., Roma, 2016, p. 103.
[7] http://didascienze.formazione.unimib.it/set/Immagini/U2_alunno12.htm
[8] S.Cera-M.Marinaro-A.Passerini, Manuale del mediatore civile, Aracne, 2012, Roma, p. 194.
[9] (The Seven Habits of High Effective People), Franco Angeli, Milano, 2003, p. 43.
[10] Mentre vedevo la scena mi è venuto immediatamente in mente il passaggio della canzone dei Depeche Mode, Walking in my shoes, quando recita “Try walking in my shoes, you’ll stumble in my footsteps”. Nel film il significato di queste parole è tutt’altro che “figurato”…
[11] In una intervista a Rete 105, Pierfrancesco Favino ha sottolineato che il film racconta la storia di due persone che, attraverso questo scambio di identità, “riescono a capire chi sono e di conoscersi e stimarsi per ciò che non conoscevano l’uno dell’altro […] e sono una coppia finalmente alla pari”. URL: https://www.youtube.com/watch?v=2r5j6s0faCg . Data ultima consultazione: 29 aprile 2017.
[12] I due principi che hanno origine nell’antica filosofia cinese e che caratterizzano vari elementi, opposti ma interdipendenti (nero-bianco, buio-luce, luna-sole, passivo-attivo, freddo-caldo, ecc.), tra i quali anche il maschile (Yang) ed il femminile (Yin), in un modo in cui l’uno non può esistere senza l’altro.
Stefano Cera: Da piccolo ha visto 2001: Odissea nello spazio e si è addormentato al cinema! Tuttavia, da allora ha sviluppato l’“insana passione” per il grande schermo e soprattutto (una volta diventato formatore) per tutto ciò che questo portava all’apprendimento. Sviluppa le sue attività in aula lavorando con i video ed i film… perché una scena vale davvero più di tante parole. Senior Consultant & Experiential Trainer, Autore di Ciak… motore… Form_ Aaaaazione! – Vademecum filmico per il formatore non convenzionale. Lo trovi sul blog: http://formamediazione.blogspot.it
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