Più volte mi è capitato di accompagnare mia madre, durante il percorso della scuola dell’obbligo di mio fratello, ai colloqui scuola-famiglia. “É un genio ma è TROPPO vivace”, “è intelligentissimo ma è TROPPO esuberante”, “ha un’intelligenza fuori dalla norma ma parla e si muove TROPPO”. Potete immaginare la reazione di sconforto che avrebbe avuto qualsiasi genitore a queste parole. Io, invece, ho sempre reagito con orgoglio, sicura che un giorno avrebbe potuto investire sulla sua vivace intelligenza e sulla sua iperattività e ricavarne preziosi frutti. Quei “TROPPO” li ho sempre considerati un valore aggiunto.
Ecco, guardare questa sequenza di scene che vi propongo, tratte dal film “Borg McEnroe”, mi ha fatto ripensare a quei momenti. Lennart Bergelin, tennista e allenatore, per la prima volta, durante un torneo giovanile, incontra un Björn Borg ancora ragazzino. Un esempio di come un incontro può cambiare la vita. Bergelin nota immediatamente il suo movimento in campo e il suo tocco, allo stato “grezzo”, ma già perfetti. Ma, più che il suo “rovescio a due mani”, nota la sua “energia tempestosa” e il suo temperamento irruente, che non ha nulla a che fare con quello dell’ “Uomo di ghiaccio” che sarebbe diventato di lì a pochi anni. Björn non accetta il parere del giudice di gara e reagisce, facendo valere le sue ragioni e, all’accusa di “comportamento antisportivo” e alle penalità assegnategli, risponde gettando con rabbia la sua racchetta.
“Che energia!”
“Sì, ma deve avere qualche rotella fuori posto, secondo me … è una vergogna per il circolo”.
Forse nessuno aveva ancora capito che dietro il suo comportamento impetuoso e irascibile si nascondeva qualcos’altro, insicurezza forse o scarsa fiducia in se stesso, sentimenti d’altronde tipici della fase adolescenziale. Lo dimostrano il timore reverenziale, gli occhi bassi e le poche parole durante la prima conversazione con Bergelin.
“Dicono che sei bravo a giocare a hockey quanto lo sei a tennis”
“Mh, mh. Forse è più adatto a me”
“E chi lo dice?”.
Bergelin ammira ciò che gli altri considerano maleducazione e “pazzia” e, nella forza del ragazzo e anche nella sua incapacità di gestire le emozioni, scorge delle potenzialità non ancora riconosciute, coltivate e disciplinate.
“… parte del mio lavoro consiste nello scoprire nuovi talenti. È raro che un ragazzo venga sospeso per comportamento antisportivo … dicono che non ci stai con la testa, te l’hanno mai detto?”
“Mh, mh”
“Pensi sia vero? Non lo è!”
“No!”
“Quelli che dicono così credono di sapere cosa serva …”.
Non basta riconoscere un talento, è necessario valorizzarlo, gestirlo e conservarlo. Bergelin aiuterà Bjorn a migliorare la tecnica, ma soprattutto modella il suo approccio mentale, lo aiuta a trasformare tutto il suo “carico” di emozioni negative in positività, a gestire la sua energia e a canalizzarla, con disciplina e rigore, in qualcosa che gli fa bene.
Il talent management è proprio quel processo aziendale di identificazione, selezione, sviluppo e trattenimento dei talenti. Diversamente dalla gestione del personale, la gestione dei talenti richiede maggiori capacità di reclutamento, motivazione, coinvolgimento. Affinché un processo di talent management sia ben gestito e porti a ottimi risultati in termini di affari e anche di soddisfazione del personale, è necessario motivare le persone e assumere un’ottica di gestione integrata a cui lavorare prima, durante a anche dopo la permanenza in azienda. Inoltre è importante occuparsi dell’ambiente in cui tali talenti vengono inseriti e della loro cultura, in quanto considerati la forza propulsiva e il motore dell’innovazione nelle aziende.
Il “talent scout”, che sia il capo dell’azienda o l’allenatore, deve occuparsi anche della crescita personale del “talent” e comportarsi come un life coach, per guidare e aiutare i dipendenti a scoprire e migliorare le proprie qualità e competenze, anche nell’ottica di nuove opportunità di carriera all’interno dell’azienda. Affiancando il talento nella fase di sviluppo e indirizzandolo verso il “meglio”, senza mai imporre la propria visione, lo aiuta a costruire o a rafforzare la consapevolezza e la fiducia in se stesso.
Questo vale anche nell’ambiente scuola, che non deve condannare ma aprirsi alla vivacità. L’educatore deve preoccuparsi di canalizzare le “energie esuberanti” dei bambini/ragazzi, il dinamismo e la loro vitalità verso obiettivi di crescita sia culturale che educativa.
Canalizzare l’energia. È stata l’intuizione e la strategia di Bergelin, che è riuscito a “fare” di Borg uno dei migliori tennisti di tutti i tempi. Il segreto è abbassare il livello di “energia libera”, un’energia che, se non gestita, si disperde senza alcuna produzione di “lavoro”. Solo trovando la strada giusta per canalizzare questa “potente energia vitale”, possiamo scoprire le preziose risorse che possediamo.
“Dimmi una cosa Bjorn, ma non ripetermi quello che ti avranno suggerito di dire, che cosa vuoi dal tennis?”
“Essere il migliore”
“Il migliore in Svezia?”
“No, del mondo!”.
Per “scoprire” il ruolo che Bergelin ha avuto nella vita di Borg e in che modo ha contribuito al suo successo, se sei iscritto alla nostra membership non puoi perderti quest’altra scena, tratta dallo stesso film, scelta e commentata per te: https://www.ilcinemainsegna.it/video/scena-sulla-gestione-della-pressione-e-tutto-qui/.
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“Borg McEnroe” è un film del 2017 diretto da Janus Metz, con protagonisti Sverrir Gudnason e Shia LaBeouf.
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