Dimenticare una brutta esperienza di customer care è difficile: un ricordo negativo impatta di più sulla nostra mente di uno positivo.
Un’accoglienza come quella dei due protagonisti di “Downhill” è di certo il tipo di episodio che racconteresti ad un amico che ti domanda “ come è andata la tua vacanza?”, o ancor più “com’era l’hotel in cui avete alloggiato?”. Anche se da quel punto in poi i servizi risultassero eccellenti, non potresti non citare la strana receptionist che ti ha accolto con un “perciò tutti quanti nudi”.
Tu come valuteresti il suo approccio? Buono, cattivo, giusto o invadente?
Naturalmente la percezione è soggettiva e la modalità che a me infastidisce, potrebbe essere per te “amichevole” e da preferire ad un approccio “formale”e “freddo”.
Quanto è importante “studiare” un orientamento al cliente che soddisfi dei criteri di contesto, di target, senza rischiare di essere “borderline”?
Secondo la White House Office of Consumer Affairs, un cliente in media parla a 9 persone di un’ esperienza positiva, e a 16 di una negativa! Questo è altamente impattante sull’andamento di una struttura, perché è risaputo, vendere ad un cliente abituale è davvero molto più semplice che attirarne di nuovi.
In un mercato oramai saturo di attività, di idee, di nuove esperienze a disposizione del consumatore, davvero vogliamo perderci in un servizio di accoglienza clienti che potrebbe risultare potenzialmente invadente?
Nella scena per fini comici si è ovviamente stereotipato quello che per gli americani è uno stile di approccio “tipicamente europeo”, che va oltre le righe. Viene però da pensare che nonostante l’evidente drammatizzazione, in realtà un servizio clienti amichevole ed empatico sia il migliore che ci si possa aspettare.
Sorprendentemente, non è così.
In uno studio pubblicato sulla Harvard Business Review, si evince che un profilo maggiormente controllato, esperto, che mostra la sua personalità nella ricerca della soddisfazione migliore e rapida del cliente, è di gran lunga più apprezzato di chi invece agisce solo in maniera empatica.
La crescita esponenziale dei servizi web e delle informazioni, porta davanti alla nostra reception un cliente distrattoi à snervato, che nonostante abbia letto tanto, non riesce a ricavare le informazioni da lui desiderate. Perciò quando fa una domanda, preferisce una risposta diretta ed esaustiva, prima di eventualmente cominciare una conversazione.
Quindi, la receptionist della scena in realtà sta agendo in maniera corretta?
E’ qui che troviamo dunque il limite invalicabile dell’invadenza.
Non può sostituirsi alle loro decisioni, ma deve porgli quelle che sono le soluzioni migliori.
Non può inserirsi nelle loro preferenze e scelte, ma deve allo stesso tempo essere cortese e consigliera.
Non deve usare dei toni e dei modi che facciano sentire il cliente sopraffatto, e non far trasparire emozioni negative riguardo l’andamento della conversazione.
La cosa meno appropriata nella, è il tono con cui la receptionist risponde ai quesiti dei clienti: quando questi fanno una domanda che a lei sembra stupida, non cerca di nascondere il suo disappunto, tutt’altro! Fa ben capire che le loro richieste non sono rilevanti, ed è quasi seccata quando deviano la discussione sul “ci sono altri bambini in questo resort?”.
Essere cortesi è un aspetto molto soggettivo, ma forse l’addetta al servizio clienti ha mal interpretato il principio dei “Controllers” definiti da Harvard.
Quando si ha che fare con degli ospiti, il tono di voce e il modo in cui ci si rivolge non possono essere opinabili. L’utilizzo continuo dell’imperativo, il tono di comando ed esclamativo senza possibilità di replica rende l’esperienza disarmante per il cliente, che non sapendo come opporsi, cerca solo un modo rapido per andare via.
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