Scena sull’empatia: altruismo/egoismo due facce della stessa medaglia

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Di cinema2010

<< Una volta un alcolizzato venne da me e disse: “Mi sono stufato di essere un alcolizzato. Certo, sarà un osso duro per lei; cosa pensa di poter fare?”.

“Guardi, ciò che le suggerisco le sembrerà strano, ma vada al Giardino Botanico. Là si fermi a guardare i cactus e mediti che i cactus riescono a sopravvivere tre anni senza acqua, senza pioggia. E ci rifletta su molto”.

Molti anni dopo venne da me una giovane donna, desiderosa di conoscermi di persona, che mi disse: “Dottor Erickson. Lei mi ha conosciuta quando avevo tre anni (…) Chiunque riesca a mandare un alcolizzato al Giardino Botanico a guardarsi attorno, perché impari a tirare avanti senza alcol, e che riesca a farglielo imparare, è il tipo d’uomo che voglio vedere. Mio padre non ha più bevuto da quella volta che lei lo mandò laggiù.”  >>

Questa storia è tratta dalla collezione de “I racconti didattici di Milton H. Erickson”, il maggior esperto di ipnosi dei nostri tempi. Mi piace pensare che l’uomo in cerca di aiuto, guardando i cactus, abbia pensato a sua moglie e a sua figlia di soli tre anni e abbia deciso di anteporre la loro felicità alla sua.

A questo racconto ho ripensato quando ho visto per la prima volta questa scena, tratta dal film “Don’t worry”. Il film racconta la vita di John Callahan, noto fumettista satirico, che l’alcolismo ha condannato, dopo un brutto incidente, su una sedia a rotelle. Ad un gruppo di alcolisti anonimi conosce Dannie che, in questa scena, riflette sul suo percorso di guarigione e sulle motivazioni che lo hanno spinto a desistere dal “desiderio di bere”:

“Ti ho mai detto come resto sobrio? (…) Quando mi avvicino al desiderio di bere, io non penso a me stesso o alla mia vita, io penso a lui, alla sua faccia …”

La sofferenza che provochiamo negli altri costituisce un’ importante leva per il cambiamento. Trovarci di fronte al dolore e alle sue conseguenze che, con il nostro comportamento deviato o le azioni scorrette, abbiamo causato nelle persone che amiamo, ha lo straordinario potere di farci ritrovare la rotta.

Altruismo è anche questo: anteporre il benessere delle persone a noi care al nostro, rinunciare al piacere effimero e momentaneo, quale può essere quello della dipendenza dall’alcol, per un ideale più grande.

È pur vero, però, che alla base dell’essere altruisti vi è una discreta componente di egoismo. Quante volte ci siamo chiesti o ci hanno chiesto perché ci piaccia aiutare gli altri e la nostra risposta immediata è stata: “perché mi fa stare bene” ?

“Credo di essere ancora un po’ egoista. Aiutavo voi perché soprattutto aiutava me”

Questo è ciò che Dannie confessa al suo amico: aiutare il suo gruppo di compagni a venire fuori dal circolo vizioso dell’alcol, ha rappresentato per lui un’ulteriore spinta motivazionale verso la rinascita. Riscontrare i frutti positivi e gli effetti benefici del suo lavoro nella loro vita è stata la sua ancora di salvezza.

“Gioco a tennis per vivere, anche se odio il tennis, lo odio di una passione oscura e segreta, l’ho sempre odiato.”

Questa è l’affermazione di un uomo che ha fatto del tennis la sua professione, che lo ha reso famoso ai giorni nostri. Quest’uomo è Andre Agassi, allenatore di tennis ed ex tennista statunitense. Andre ha iniziato a giocare a tennis per compiacere la volontà del padre e non ha più smesso, finché non ha individuato la finalità che dà un senso ai suoi sforzi, ai suoi sacrifici e ad un’imposizione cui non è mai riuscito a ribellarsi.

Quando finalmente capisce che aiutare gli altri dà nuova luce al suo essere tennista, la vittoria diventa una missione, perché vincere una partita lo aiuta a raccogliere il denaro che serve per sostenere le iniziative educative e sociali di cui è promotore a favore di bambini e ragazzi in difficoltà.

“È l’unica perfezione che esista, la perfezione di aiutare gli altri. È l’unica cosa che possiamo fare che abbia un valore o un significato duraturo. È per questo che siamo qui.”

Aiutare gli altri apporta un beneficio che costituisce un’importante leva per la nostra felicità. Quante volte abbiamo compiuto buona azione, abbiamo regalato un sorriso, dato conforto, offerto comprensione e ci siamo sentiti gratificati dal sollievo di cui ha l’altro ha beneficiato grazie al nostro aiuto?

Non si tratta affatto di una forma di egoismo negativo che fa rima con egocentrismo e menefreghismo, quanto piuttosto di un egoismo di natura positiva, una sorta di auto-gratificazione che ci permette di fare del bene al prossimo e, contemporaneamente, fortificare il nostro grado di soddisfazione e realizzazione.

D’altronde non si potrà mai amare l’altro se prima di tutto non si è in pace con se stessi. Solo chi riesce ad entrare in connessione con la parte più profonda del proprio cuore, può pensare di entrare correttamente in contatto col mondo, con gli altri e approcciarvisi per far loro del bene.

Altrusimo/egoismo: due facce della stessa medaglia che trovano un senso alla loro coesistenza nel concetto di empatia. La risposta allora è questa: far del bene all’altro ci porta inevitabilmente a gioirne in prima persona, poiché, dotati di intelligenza emotiva, non potremo mai prescindere dal fare nostre le altrui emozioni ed entrare in sintonia con l’altrui stato d’animo.

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Scena sull'empatia tratta dal film "Don't worry"Don’t Worry” (Don’t Worry, He Won’t Get Far on Foot) è un film del 2018 scritto e diretto da Gus Van Sant, basato sulla biografia omonima del vignettista satirico John Callahan, interpretato nel film da Joaquin Phoenix. Fanno parte del cast principale anche Jonah Hill, Rooney Mara e Jack Black.

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